La pandemia prima, e lo scoppio della guerra in Ucraina poi, hanno modificato l’andamento dell’economia mondiale, con conseguenze piuttosto pesanti che si riflettono anche nel nostro Paese.
I costi di molti prodotti sono aumentati vertiginosamente e a questo si aggiunge la difficoltà nel reperire le materie prime.
Se da una parte l’industria cerca di assorbire questi rincari, dall’altra non riesce più a sostenerli, penalizzando così il carrello dei consumatori.
Tra gli ambiti che risentono maggiormente della situazione socio-politica e del rincaro prezzi, troviamo il settore dell’energia e quello alimentare.
In particolare l’aumento dei costi di materie prime e il caro-bollette stanno appesantendo l’intera catena di approvvigionamento alimentare: da una difficoltà che risiede a monte si espande fino gli ultimi anelli della catena. Le fasi colpite del processo sono:
- produzione e trasporto;
- costi e reperibilità delle materie prime;
- spese per gli imballaggi;
- rincaro di mangimi e concimi.
Sugli scaffali dei supermercati stanno perciò lievitando i prezzi di prodotti indispensabili per le famiglie, come pane, pasta, carne, oli da cucina. I costi della logistica non risparmiano poi nemmeno alimenti come la frutta e il caffè.
Quali sono le previsioni per il futuro?
Alla fine dell’altr’anno, l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori aveva provato a stimare l’impatto che il 2022 avrebbe avuto sui conti delle famiglie italiane: si parlava allora di un possibile aggravio pari a + 1.228,80 Euro annui.
Ma la guerra in Ucraina non era stata ancora calcolata.
A marzo di quest’anno la Coldiretti ha parlato di un’inflazione che nel settore alimentare sta superando il + 4,6% in media.
Alla luce di tutto questo, il clima diffuso tra gli italiani è di rassegnazione e sfiducia.
Ricordiamo infatti che – come sottolinea la Coldiretti – l’Italia è un Paese dove l’85% dei prodotti viaggia su strada prima di arrivare alla vendita diretta su scaffali. Il rischio è che l’aumento di benzina e gasolio si riversi come una valanga sulle industrie e, di conseguenza, sulla spesa dei consumatori.
La guerra in Ucraina, poi, rappresenta un duro colpo per i prodotti di esportazione, come il grano.
Basti pensare che il Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ha definito la Russia come il maggior esportatore di grano al mondo, mentre al quarto posto si posiziona proprio l’Ucraina.
L’Italia, invece, produce circa il 65% del grano necessario all’industria di trasformazione mentre il restante 35% è coperto dalle importazioni, sia per riuscire a colmare il divario tra domanda e offerta, sia per la qualità del grano estero che a volte è superiore al nostro.
Chiaramente questa situazione si ripercuote particolarmente sul nostro Paese, dal momento che consumiamo 23 kg di pasta pro capite all’anno in media e le associazioni dei consumatori hanno già stimato un aumento indicativo del prezzo pari a 20 centesimi in più per ogni pacco di pasta da mezzo kilo.
Gli analisti li definiscono “tempi incerti” perché il mercato delle materie prime è molto meno volatile rispetto ad altri e quando viene colpito può subire effetti importanti.
Inoltre, ribadiamo ancora una volta che l’aumento dei costi interessa l’intera filiera agroalimentare, dalla raccolta alla lavorazione dei prodotti, fino alla conservazione e distribuzione.
Come fronteggiare questo aumento dei costi?
Per contenere quindi l’aumento dei costi e non far precipitare drasticamente la situazione è allora importante che ogni componente della filiera faccia la propria parte.
In un momento tanto delicato non si possono commettere errori ed è fondamentale gestire correttamente la distribuzione ed affidarsi all’esperienza e agli studi di mercato.
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